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venerdì 22 febbraio 2013

Monopoli:Il gozzo"u vozz"e Nicolò Lafronza"Mèste Coline"

 
ft Giovanni D'onghia-I gozzi (le cornute e a collo d'anatra)

L'occasione di conoscere meglio i gozzi, la più piccola barca da pesca usata dai pescatori monopolitani, ci è stata suggerita dai nostri affezionati lettori, la nostra forza.
Proprio loro, dopo aver letto l'articolo di ieri intitolato: "E' stata pulita l'area di Cala Porto Vecchio", ci hanno chiesto, numerosi, di approfondire l'argomento.
Infatti, nell'ultimo paragrafo, avevano accennato una curiosità strutturale dei gozzi, più comunemente detti in dialetto ‘u vozz'.
Allora ci siamo recati dal maestro Nicolò Lafronza, "Mèste Coline", (così è chiamato confidenzialmente in città), l'ultimo di una dinastia di maestri d'ascia, che ha la sua bottega in via Cadorna 70, nei pressi della Porta Vecchia e che si affaccia sul fossato delle mura del XVI secolo, oltre a sovrastare l'insediamento ipogeo di San Matteo dell'Arena.
Mèste Coline, ci spiega che i gozzi sono imbarcazioni tra i 13 e 18 palmi (3,5 - 4,8 metri), con poppa e prora a cuneo.
In passato montavano anche un albero con la vela latina, oltre tre o quattro remi, ed era impiegato nella pesca sotto costa.
A Monopoli sono colorati di blu, mentre a Polignano con il verde.
A Savelletri e Torre Canne, la marina di Fasano sono ancora chiamate "u schiff" dal veneziano "schifo" l'antico battello al servizio di una nave maggiore. U vozz, è un'imbarcazione che affronta normalmente il mare con la poppa e non la prora, non solo durante le operazioni di pesca ma anche durante la navigazione.
I vecchi gozzi, costruiti nel cantiere Lafronza a Cala Portavecchia avevano la caratteristica della prua a becco d'anatra, mentre quelli costruiti negli altri cantieri cittadini di Cala Fontanelle, come quelli dei Saponaro, (un'altra famiglia numerosa di maestri d'ascia), avevano sull'asta di prua la forcella a corna (da cui soprannominate le ‘cornute').

Nicolò Lafronza "Mèste Coline"

ft,di Donato Menga(Nicolò Lafronza nella sua bottega)

ft di Donato Menga(int.bottega di Mèste coline)
Ma chi è Nicolò Lafronza
"Mèste Coline", nasce a Monopoli il 27 Aprile 1946 da una famiglia di maestri d'ascia, dove ha imparato da bambino a costruire il gozzo dal padre Cosimo e il nonno Nicolò, più comunemente conosciuto col diminutivo dialettale di "Colettë" e con il soprannome di "gallin".
Il nonno Colettë imparò il mestiere di maestro d'ascia e di calafato presso il cantiere Saponaro.
Quando tornò dal fronte a conclusione della Prima Guerra Mondiale, chiese l'autorizzazione alle autorità del demanio di aprire un cantiere navale nei pressi dell'accesso a mare a Cala Porta Vecchia; che poco dopo ottenne.
Presto furono realizzate alcune baracche nei pressi dell'allora Stabilimento Balneare dei fratelli Calderaro, dove iniziarono a realizzare imbarcazioni per la pesca, tra cui il gozzo.
Colettë aveva sei figli: Giacomo, Luigi, Cosimo (il padre di ‘mèste Coline'), Ottavio, Andrea e Antonio che intrapresero tutti l'attività paterna.
Cosimo frequentò alcuni corsi di studi specifici conseguendo così la licenza di costruttore di imbarcazioni fino a 150 tonnellate.
Alcuni anni dopo i fratelli Lafronza erano considerati i più bravi costruttori di gozzi, di piccole imbarcazioni da pesca a motore e a remi e soprattutto apprezzati maestri calafati.
Proprio per la loro fama, erano molto richiesti nei vari cantieri navali delle vicine marinerie, tra cui quelli di Mola, Bari e Brindisi.
In questi cantieri si trasferivano, per brevi periodi, a eseguire lavori di calafataggio: con scalpelli e mazzuole di legno da loro stessi fabbricati infilavano con forza la stoppa di canapa catramata nelle fessure del fasciame di legno pregiato per rendere stagna l'opera viva.
Alcuni anni dopo, con l'avvento della vetroresina che prese il posto del legno, anche in questo settore giunse la crisi.
Quasi tutti i fratelli Lafronza furono costretti ad emigrare e cercare lavoro in altri cantieri del nord e all'estero.
A Monopoli restò solo Cosimo con il figlio Nicolò che continuarono, ancora per poco, l'attività di maestro d'ascia in una grotta adiacente alla sua abitazione di via Mazzini e poi in un locale in Largo Portavecchia.
Dal 1975 "Mèste Coline" prese in fitto il locale in via Cadorna 70 di proprietà del Comune, dove tutt'ora all'età di 65 anni, non pensando alla quiescenza, continua con l'orgoglio e la passione di sempre ad esercitare questa nobile arte, ormai al tramonto.


Il maestro d'ascia, scrittore e storico Vincenzo Saponaro in un recente incontro pubblico propose che con i numerosi arnesi e attrezzi che servono per la lavorazione del gozzo utilizzati nella bottega di Nicolò Lafronza si possa realizzare un Museo del mare: quando Nicolò naturalmente deciderà la chiusura della sua attività.
«Il rischio - affermò il noto maestro Vincenzo Saponaro - è che vadano perduti».

di Giovanni D'onghia.
foto di Donato Menga e Giovanni D'onghia
Gozzo Monopolitano,14 palmi disegno Vincenzo Saponaro





domenica 10 febbraio 2013

A Monopoli la piazza più bella egrande di Puglia.

 
 
La piazza principale della città di Monopoli, il Borgo, è un po' il palcoscenico del nostro Novecento.


ftweb-la fontana con elementi retorica nazionalistica,1928

 
L'intitolazione al re Vittorio Emanuele II, così come anche l'intitolazione del prolungamento dello stradone, a Corso Umberto I,inseriscono pienamente questi spazi nella storia del secolo scorso. Il borgo venne concepito come piazza moderna, luogo di incontro e di vita della città. I suoi 22.000mq ne fanno una delle piazze più belle e più grandi di Puglia.I lecci sono stati piantati nel 1893,mentre la piazza è stata ripavimentata nel 1981.  Il ventennio fascista vi si costruì due monumenti. Da un lato la fontana, con tutti gli elementi e i rilievi della retorica  nazionalistica, e dell'altro il monumento ai Caduti, inaugurato il 24 maggio del 1928 in onore dei 300 caduti monopolitani della Prima Guerra mondiale.Artista fu Edgardo Simone da Brindisi .La statua del fante combattente, nella prima versione, cadde durante la sistemazione e fu sostituita, nella nuova versione dell'eroe vittorioso, dal concittadino scultore Angelo Saponara. Attorno vi è la catena recuperata dall'ancora della corazzata "Benedetto Brin".                                                                

ftweb-Monopoli inizio 1900
ftweb-Monopoli piazza Vittorio Emanuele ,1928

Fonte dal libro" Monopoli nel 900,di Mimmo Muolo, Domenico Brigida, Martino Cazzorla, Giuseppe Cionti, Vito Intini.


 Edizione Vivere In, stampa 2001,
E-mail:edizioniviverein@tin.it



giovedì 7 febbraio 2013

2 febbraio-La Candelora a Monopoli. Tradizione e religione


candelora

E di colpo venne il mese di Febbraio. Diceva così qualche tempo fa Franco Battiato in ‘’Alexander Platz’’. E quando viene Febbraio, viene anche la Candelora. Come molte feste cristiane, anche questa viene da antichi usi pagani e in particolare da quello di accendere rami e sterpi per ‘’purificare’’ la terra in vista della Primavera: fu il Papa Gelasio I ad abolirla sostituendola con la festa della Candelora. Una ricorrenza che sancisce la fine del periodo più duro dell’inverno: essa chiude una parte dell’anno (quella dal 7 Gennaio al 1 Febbraio) che se ufficialmente si presenta come Tempo Ordinario, viene in realtà avvertita come un semi Natale, un tempo a metà strada fra la Croce e la Culla, oserei dire. La Candelora apre la strada che porta alle Ceneri e chiude le ante dei presepi, insomma. Una festa che a Monopoli presentava due declinazioni: una per il centro cittadino, l’altra per l’agro. In città le candele benedette nella sera della Candelora servivano per allontanare i pericoli del mare, le tempeste, i temporali; davanti alla candela o meglio, alla sua Luce, ‘’si invocavano i protettori locali, la Madonna della Madia, San Francesco da Paola o Sant’Irene, quest’ultima specializzata nel difendere la nostra città dalle saette del cielo nel corso del Settecento.” (Francesco Pepe). Tradizionalmente, con le candele della Candelora si toglieva anche Gesù Bambino dal Presepe, in una processione ‘’al contrario’’ rispetto a quella di Natale: al canto del Tu Scendi dalle Stelle il Bambinello, preso dalla sua culla, veniva riposto in una vetrina in attesa dell’anno successivo. In campagna la Candelora aveva un altro significato: indicava il passaggio verso la nuova stagione e il due Febbraio si scrutava il cielo cercando di capire le previsioni per i mesi venturi. Uno dei proverbi più famosi è ‘’A Canelòre, a vernate e ffore”, e cioè ‘’Alla Candelora, l’Inverno è fuori.” Riti e detti di un tempo, di una civiltà scomparsa o che sta scomparendo, ma testimonianze importanti di un dato fondamentale: ogni espressione della Religiosità Popolare ha a che fare con l’humus culturale in cui nasce: in campagna, la Candelora diventa speranza del raccolto: sul mare, la Candelora diventa luce di speranza per le mogli dei naviganti. A testimonianza di una natura duplice e inscindibile di Monopoli, che produce anche due religiosità differenti: la terra e il mare.
 
di Giovanni Brescia
 
 http://www.monopolitube.it/cultura/7263-la-candelora-a-monopoli-fra-mare-e-terra.html